Unzione dei malati

Per ricevere questo sacramento affinché un sacerdote venga a trovare a casa un malato chiamare in parrocchia negli orari di ufficio oppure al numero delle emergenze 3311887084.

Il giorno della Madonna di Lourdes (11 febbraio) celebriamo il sacramento durante la Santa Messa per tutti i malati o anziani che possono spostarsi da casa.

Catechesi sull’Unzione dei malati

(don Alessandro)

LA MALATTIA

Tante volte ci troviamo ad affrontare nelle nostre famiglie la malattia, la fatica e le difficoltà fisiche. L’ultimo Sacramento ci ricorda che Dio entra nei nostri dolori. È un’attenzione a una situazione delicata in cui si rischia di perdere la speranza e la fede. Sono i momenti in cui abbiamo più bisogno degli altri e di Dio, dove ci rendiamo conto che non bastiamo a noi stessi. C’è un modo di vivere positivamente anche questo momento della vita; Lourdes, per esempio, è una prova di come dal rapporto con la malattia e i malati può nascere un’umanità nuova: attenta, premurosa, che si spende, che affronta i problemi. 

IL NOME DEL SACRAMENTO

Con la riforma liturgica dopo il Concilio Vaticano II abbiamo un cambiamento di prospettiva: si ricorda che il nome più appropriato per questo rito sacramentale sia quello di Unzione degli Infermi, piuttosto che quello precedente di Estrema Unzione. I cambiamenti di nome e di prospettiva indicano chiaramente la comprensione della Chiesa nell’offrire questo Sacramento ai suoi figli: prima ancora che pensare ai loro ultimi istanti di questa vita terrena, la Chiesa vuole prendersi cura di una loro condizione particolare, quella della malattia fisica. Il Sacramento dell’Unzione, allora, come tutti gli altri Sacramenti, si pone all’interno di una rete di relazioni che uniscono la Chiesa e i suoi figli.

QUAL È L’ORIGINE?

L’atteggiamento pastorale della Chiesa si radica nella testimonianza apostolica della lettera di Giacomo (Gc 5,14-15), dove si invita chiunque sia malato a chiamare presso di sé i presbiteri della comunità, perché lo ungano con olio e preghino su di lui per la sua salvezza, sia fisica che spirituale. La testimonianza della comunità apostolica si collega direttamente ai gesti di Gesù (Lui guarisce e perdona) e al suo comando rivolto ai discepoli inviati in missione: la guarigione dei malati attraverso l’imposizione delle mani (Mc 16,18) o l’unzione con olio (Mc 6,13) è uno dei segni del Regno che si diffonde sulla terra. Gesù raconta nel Vangelo di Luca (cap. 10,25-37) la parabola del Buon Samaritano, che suggerisce l’atteggiamento del prendersi cura: “abbracciami se avrò paura di cadere, sulla parola insieme, abbi cura di me”, cantava Simone Cristicchi al Festival di Sanremo di quest’anno.

CHI PUÒ RICEVERE IL SACRAMENTO?

I sacramenti si danno ai vivi. Nel retaggio della memoria di un recente passato, l’Unzione è collegata spesso con il trapasso a un’altra vita. Per questo motivo, molto spesso i parenti rinviano il più possibile la richiesta del Sacramento. Certamente l’Unzione ha un grande valore nel sostenere il nostro animo durante il passaggio alla vita eterna attraverso l’incontro con Cristo, il nostro giudice misericordioso. Ma non dovremmo privarci né privare i nostri fratelli di questo dono di grazia durante il decorso delle nostra malattie più gravi e sofferte. Nell’attuale prospettiva della riforma liturgica, il Sacramento dell’Unzione è offerto prima di tutto a coloro che si trovano in una situazione di malattia fisica tale da mettere in pericolo la loro vita. Di per sé, quindi, la Chiesa offre il dono di grazia dell’Unzione dei malati in modo specifico per quelle situazioni dove alla sofferenza si aggiunge un concreto pericolo. Certamente in questo contesto ha grande valore la valutazione soggettiva del credente sulla propria situazione: in condizioni simili, gli atteggiamenti dei singoli o dei loro familiari possono essere molto diverse. Per esempio la vecchiaia, che in se stessa non potrebbe definirsi come una vera e propria malattia, tuttavia è riconosciuta come una situazione opportuna per ricevere questo Sacramento, purché sia richiesto dal singolo fedele. Nel caso, poi, di un’operazione chirurgica che comporti l’uso dell’anestesia totale, su richiesta del malato, è legittimo concedere l’Unzione per la delicatezza che ogni intervento comporta.  Alle volte pretendiamo troppo e tutto al funerale (che non è un Sacramento), ma è prima che bisogna investire in fede e attenzioni, quando si è vivi!

COME AVVIENE?

Il Sacramento ha senso solo all’interno di una cura pastorale verso i malati; cura fatta di presenza, attenzione, delicatezza da parte del prete e della comunità cristiana. Viene prima l’imposizione delle mani in silenzio: è il gesto apostolico per invocare il dono della Grazia di Dio, lo Spirito Santo. Segue l’unzione con l’olio degli infermi, fatta sul palmo delle mani e sulla fronte, accompagnata da una invocazione rituale che recupera parole della più genuina Tradizione della Chiesa: «Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia, il Signore ti conceda la grazia dello Spirito e nella sua bontà ti sollevi». Parola di dolcezza, di forza, di amore, di perdono per non cadere nella disperazione. Lui c’è, è con te, anzi è in te. Il malato riceve così la Grazia di vivere con fortezza e speranza la sua malattia, partecipando al mistero della passione di Gesù. La preghiera della Chiesa in questo Sacramento comprende sempre la richiesta della guarigione fisica, che può essere accolta dalla Misericordia di Dio. Entriamo qui in quel misterioso e delicato rapporto fra la Provvidenza divina e le richieste del cuore umano.

COME AFFRONTIAMO IL MISTERO DEL DOLORE?

È la domanda di sempre. Epicuro (4 secoli prima di Cristo) diceva: “Dio o vuol togliere il male e non può, o può e non vuole, o vuole e può. Se vuole e non può, è debole! Se può e non vuole, è ostile! Se non vuole e non può è ostile e debole! Se vuole e può, e questo solo si addice a Dio, da dove allora proviene il male? E perché Dio non lo elimina?”. Ancora oggi dare dell’epicureo vuol dire essere scettico, dedito solo ai piaceri del momento. 

Come ha risposto l’uomo a questa domanda assillante? Dal punto di vista del pensiero e della religione contrapponendo un principio buono e uno cattivo che nel mondo si fanno la lotta. Per gli Egizi Osiride contro Seth, per i mesopotamici Marduk contro Nergal, per Marcione (II secolo d.C.) il Dio buono del Nuovo Testamento contro un Dio cattivo dell’Antico Testamento; tutto questo ha portato alla sfiducia e quindi all’accantonare l’idea di Dio. 

Qualcuno risponde che la vita non ha senso (come Vasco Rossi in una sua famosa canzone) e tanto vale farsi i nostri paradisi artificiali. Altri pensano che le scoperte scientifiche un giorno elimineranno tutti i mali, altri sono sfiduciati verso tutto e tutti, altri preferiscono semplicemente non pensarci e vivono alla giornata rimuovendo, finché possono, il dolore! 

Anche noi cristiani siamo nella situazione di entrare in queste considerazioni cercando una risposta che viene dalla rivelazione di Dio, che non fornisce facili soluzioni, ma parte dalla concretezza del riconoscerci creature fragili, finite e mortali. Il peccato originale è il primo tentativo di dare una risposta alla domanda sul dolore. La scelta dell’uomo di ripiegarsi in se stesso l’ha fatto entrare in una condizione opposta a quella pensata da Dio che era di perfezione con Dio, la natura e la coppia. L’opera del divisore si è insinuata proprio a rovinare ciò facendo diventare l’uomo limitato (bisognoso di lavorare), violento (Caino e Abele), sperimentando la fine (diluvio), la confusione (Babele). La dottrina cattolica del peccato originale (che presenta in modo particolare Sant’Agostino) ci ricorda che il peccato ha effetti devastanti per una solidarietà che coinvolge tutti gli uomini. 

Ma questo non ci basta, se pensiamo al dolore innocente. Perché il male non è frutto solo delle scelte dell’uomo. Tutta la Scrittura rinuncia a speculare sull’origine del male, ma si interroga sul suo scopo. Il Dolore diventa un richiamo all’essenzialità, alla ricerca di soluzioni, alla purificazione, l’occasione per maturare nella personalità e nella fede. Attraverso il dolore si può incontrare un Dio che in Cristo prende su di sé le fatiche umane, il limite e la morte: Gesù lotta contro il dolore, è solidale nel dolore, soffre per noi e risorge per noi. Gesù ci dice che Dio è “provvidente” perché condivide nell’attesa di qualcosa di più grande (vita eterna, resurrezione). Gesù nel Vangelo ci orienta: sul primato dell’amore, al confidare che Lui è con noi e non ci lascia soli, al non cadere nella tristezza e all’ansia. Per scoprire che il futuro sarà bellissimo è necessario vivere intensamente l’oggi.

San Giovanni XXIII nei suoi scritti annotava…

  1. Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere i problemi della mia vita tutti in una volta. 
  2. Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto: vestirò con sobrietà, non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non cercherò di migliorare o disciplinare nessuno tranne me stesso. 
  3. Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo. 
  4. Solo per oggi mi adatterò alle circostanze, senza pretendere che le circostanze si adattino ai miei desideri. 
  5. Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a sedere in silenzio ascoltando Dio, ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così il silenzio e l’ascolto sono necessari alla vita dell’anima. 
  6. Solo per oggi, compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno. 
  7. Solo per oggi mi farò un programma: forse non lo seguirò perfettamente, ma lo farò. E mi guarderò dai due malanni: la fretta e l’indecisione. 
  8. Solo per oggi saprò dal profondo del cuore, nonostante le apparenze, che l’esistenza si prende cura di me come nessun altro al mondo.
  9. Solo per oggi non avrò timori. In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere nell’Amore.
  10. Posso ben fare per 12 ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare tutta la vita.

COME CI PREPARIAMO AD AFFRONTARE LE NOSTRE FATICHE E QUELLE DI CHI CI STA VICINO?

Annoto alcuni punti chiave:

  • La vita ci chiede di stare dentro il gioco. Con le regole che ti dà, è un gioco di squadra; non puoi metterti in fuori gioco, ovvero stare oltre la linea della difesa. Ci servono degli anticorpi.
  • Prepararsi a vivere le fatiche mettendosi alla prova, non stare nella panchina della vita.
  • Saper rinunciare, comprendere il valore pedagogico del sacrificio che è un allenamento che ci fa crescere.
  • Sapere accettare le contrarietà quotidiane che arrivano senza bussare.
  • Stare vicino gratuitamente a chi ha bisogno.
  • Riscoprire la preghiera, specialmente il santo rosario.
  • Non aver paura della solitudine perché è il luogo dove si prendono le decisioni e dove si prega
  • Non lasciare nella solitudine della prova, accorgerci di chi ha bisogno, anche solo della presenza senza parole. Siamo in questa vita con dei compagni di viaggio.
  • Ricordarsi tutti i giorni che non è importante il tempo di una vita, ma è l’intensità a farne la felicità; uno può tirare avanti nella vita oppure può puntare in alto.
  • Guardare con serenità al mistero della fine e della precarietà come una realtà naturale. Prepararci al fine che è l’incontro con Dio: dovremmo essere noi a chiedere l’Unzione, non i nostri familiari!

Vi suggerisco la visione di alcuni film sull’argomento: Sole a mezzanotte (2018), Conta su di me (2018), Colpa delle stelle (2014), Wonder (2017), Quasi amici (2011), Bianca come il latte, rossa come il sangue (2013).

Vi suggerisco di cercare la testimonianza di alcuni santi o persone (anche giovani) in fama di santità (libri o internet): San Camillo de Lellis, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, Madre Teresa di Calcutta, Le lettere di Nennolina, Chiara “Luce” Badano; Carlo Acutis, Chiara Corbella, don Cesare Bisognin, Manuel Foderà (9 anni, il piccolo guerriero della luce).

Vi suggerisco di riprendere il magistero scritto e vissuto da San Giovanni Paolo II. 35 anni fa scrisse la lettera Salvifici doloris che concludeva dicendo :«Questo è il senso veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. È soprannaturale perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo, ed è altresì profondamente umano perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione»

Vi suggerisco due libri bellissimi: 

  • Eric Emmanuel Schmitt, Oscar e la dama Rosa
  • Alessandro D’Avenia, Bianca come il latte, Rossa come il sangue.

Concludo con questa citazione tratta proprio da uno dei capolavori di D’Avenia, sperando che diventi un augurio al termine di questo cammino:

«In realtà quando un predatore entra nella conchiglia nel tentativo di divorarne il contenuto e non ci riesce, lascia dentro una parte di sé che ferisce e irrita la carne del mollusco, e l’ostrica si richiude e deve fare i conti con quel nemico, con l’estraneo. Allora il mollusco comincia a rilasciare attorno all’intruso strati di se stesso, come fossero lacrime: la madreperla. A cerchi concentrici costruisce in un periodo di quattro o cinque anni una perla dalle caratteristiche uniche e irripetibili. Ciò che all’inizio serviva a liberare e a difendere la conchiglia da quel che la irritava e distruggeva diventa ornamento, gioiello prezioso e inimitabile. Così è la bellezza: nasconde delle storie, spesso dolorose. Ma solo le storie rendono le cose interessanti… »    

(Alessandro D’Avenia, Cose che nessuno sa)